Sul filo del rasoio
Manca poco alle elezioni più importanti dell'anno e - forse - del mondo. E tutto è in mano a qualche persona
Buongiorno!
sono Benedetta e questa è Quarantasette, la newsletter di Generazione sulla campagna elettorale americana. Alle prossime elezioni presidenziali mancano solo 12 giorni.
Di tutto il periodo che abbiamo impegnato insieme per seguire queste vicinissime elezioni, quello in cui ci troviamo ora è il più rivelatorio. I candidati si mostrano nella loro (presumibile) sincerità, sfruttando il tempo che rimane per incontrare le persone che ritengono fondamentali e dire le cose che ritengono necessarie. Fuori da loro, si parla e si discute di tutto quello che fanno, di come lo fanno, perché lo fanno.
È il tempo delle analisi, le facciamo anche noi.
Iniziamo.
Mentre vi scrivo, i sondaggi dipingono una situazione particolarmente intensa:
Harris è avanti a Trump di poco meno di due punti, segnando un’equilibrio non così diverso da quello che ha accompagnato tutto il periodo di campagna elettorale. Per questa ragione, in molti si stanno chiedendo se è possibile finire in pareggio?
Negli Stati Uniti il presidente e il vice presidente sono eletti con un sistema di collegi elettorali, non a seconda del voto popolare. Per vincere, un partito deve affermarsi in abbastanza Stati da ottenere una maggioranza: almeno 270 preferenze su 538. Qualora tra i candidati si creasse una condizione di pareggio (269 a 269), la palla passerebbe nelle mani del Congresso, che dovrebbe portare avanti la baracca in quelle che si chiamano “contingent elections”. Concretamente, la Camera dei rappresentanti - composta dai rappresentanti di tutti gli Stati - avrebbe l’onere di scegliere il presidente. Ogni Stato ha almeno un rappresentante, ma sono in molti ad averne più di uno, perché sono assegnati su base proporzionale rispetto alla popolazione. La scelta del presidente, quindi, non avverrebbe in base al voto di ogni singolo membro della Camera - 435 persone - ma con un voto per Stato. Per ottenere la presidenza, quindi, i candidati avrebbero bisogno di 26 preferenze su 50.
Questa impasse non è così probabile come si teme. Secondo i sondaggi più recenti, c’è 1 possibilità su 300 che nessuno dei due candidati riesca ad affermarsi.
Tuttavia, un’elezione che viaggia così tanto sul filo del rasoio, porta con se delle conseguenze, soprattutto nel come si riempie il tempo che rimane. La percezione generale è che questa sarà un’elezione in grado di cambiare l’indirizzo che prenderà la nazione: è una sensazione su cui Harris e Trump hanno puntato parecchio, per convincere l’elettorato a dare loro fiducia ed evitare che il mondo possa diventare come lo dipinge il proprio avversario.
Donald Trump sta riempendo questi ultimi giorni a disposizione in modo piuttosto aggressivo. Ad un comizio a Reno, in Nevada, ha mostrato un video in cui si vede Rachel Levine, Assistente segretaria per la salute degli Stati Uniti, che è anche una donna transgender. Nel video, Levine augura a tutti un felice mese del Pride, che si celebra a giugno. Durante la riproduzione delle immagini il pubblico presente ha iniziato a inveire, strillare e dimostrare il proprio malcontento. Il video si è poi interrotto, per dare spazio ad un TikTok con protagonista una drag queen. Il pubblico ha urlato di più.
Tutto l’universo repubblicano, trumpiano e - in generale - di destra, prende di mira senza remore le persone transgender o le drag queen, per altro confondendole tra loro e considerandole in qualche maniera assimilabili.
In una pubblicità diffusa recentemente da MAGA, l’organizzazione repubblicana Make America Great Again, si muovono una serie di accuse verso Harris, tra cui quella di favorire le operazioni di riassegnazione del genere e di avere “dalla sua parte” le persone trans. Lo slogan promosso è: «La pazza liberale Kamala è per loro/loro. Il Presidente Trump è per te», giocando sulla dicitura inglese dei pronomi che frequentemente scelgono le persone non binarie o transgender per rappresentarsi. Questa è una lunga battaglia linguistica che ambisce ad introdurre nel lessico comune la possibilità di essere chiamat+ con pronomi scelti, al di là del proprio aspetto. Il video si può vedere qui.
Il Partito Repubblicano ha speso milioni di dollari per la produzione e la diffusione di pubblicità contro la comunità trans, soprattuto negli swing states, ovvero gli Stati in cui la maggioranza degli elettori non è assegnata a nessuna delle due parti, marcando un pareggio per pochi voti o per pochi astenuti. Il Partito Repubblicano dice che premere l’acceleratore su questo tema fa presa sulla comunità nera e ispanica, che - secondo loro - percepiscono Harris come troppo liberale. John McLaughlin, uno dei sondaggisti di Trump, ha detto: «Questa è una di quelle questioni simboliche che faranno di Trump il prossimo presidente al posto di Kamala Harris, perché un sacco di elettori non avevano realizzato che lei supporta questo tipo di radicalità. Prova a dipingere se stessa come una moderata comune, ma non lo è».
Una ricerca della UCLA, una delle università che fanno parte delle ivy league statunitensi (ne parlavamo qui), ha dimostrato nel 2022 che le persone che si identificano come transgender negli Stati Uniti sono meno dell’1% della popolazione. Secondo il Partito Democratico, i repubblicani stanno girando il dito nella piaga di un problema che esiste per davvero e per cui una comunità di persone - seppur esigua in confronto al totale - soffre già quotidiane discriminazioni. In particolare, il candidato vicepresidente per il Partito Democratico, Tim Walz, ha detto la scorsa settimana che i propri avversari non riescono a concentrarsi su questioni veramente importanti come l’economia e la salute. Dice: «Spendono milioni di dollari in pubblicità per demonizzare gente che sta solo provando a vivere la propria vita».
C’è qui uno spaccato della polarizzazione di cui abbiamo tanto sentito parlare in questi mesi. L’atteggiamento repubblicano nei confronti delle persone transgender, non binarie o che - più in generale - adottano pronomi diversi dal proprio genere di nascita, è ai limiti del disconoscimento. Oltre a creare un calderone in cui tutte le questioni identitarie vengono mischiate, rendendo impossibile la loro comprensione, vengono poi pubblicamente e costantemente sbeffeggiate, come se rappresentassero un vezzo, una scelta velleitaria. Trump non è una novità in questo senso, ma forse ha portato l’asticella qualche passo più in là, rendendo possibile, ad esempio, la realizzazione di un programma elettorale che sorpassa questioni reali, sorvolandole per raggiungere temi che non esistono, che sono un nemico costruito ad arte per non dover parlare di nulla, fingendo di star parlando di tutto.
Tim Walz, invece, non solo rappresenta l’opposto delle visioni diffuse dai repubblicani, ma ha dedicato buona parte della sua carriera da governatore alla difesa delle persone transgender. Come governatore del Minnesota ha dato la possibilità a tutte le persone transgender degli Stati Uniti di operarsi nel suo Stato, con una legge che dice: «Se stai tentato di accedere alle cure legate al processo di riassegnazione del genere, puoi accedere alle cure offerte dallo stato del Minnesota indipendentemente da dove vivi, e mentre sei in Minnesota, le nostre leggi ti proteggeranno».
Non solo non esiste un punto in comune tra queste due visioni del mondo e degli Stati Uniti, ma il presupposto indispensabile da cui si sviluppa la visione progressista del Partito Democratico - che risiede nel riconoscimento di queste persone - non è neppure considerabile condiviso con i repubblicani.
Rispetto alla sensazione che questa fase della campagna elettorale conceda tutto, si è espressa Kamala Harris. Donald Trump e colleghi passano pomeriggi interi a ballare sul palco dei loro comizi, navigando tra considerazioni misogine, transfobiche o semplicemente omofobe, rispetto cui Harris ha detto: «Ci sono cose che lui dice (Trump, ndr) che diventano poi sketch e risate e scherzi. Ma ci sono parole che hanno un significato, specie se vengono da qualcuno che aspira ad essere il presidente degli Stati Uniti. Queste sono le cose che abbiamo in ballo».
C’è, soprattuto in questa fase, molto di più di un universo linguistico scelto dai candidati. Nel caso di Trump, la scelta di queste ultime settimane sta ricadendo anche nei posti in cui decide di farsi vedere. Domenica ha deciso di fare il cosplay del lavoratore e fare una comparsata in un McDonald’s. Sembra, a primo impatto, che l’intento fosse quello di mostrare la sua vicinanza ai lavoratori americani, dimostrando loro di capire la complessità di una vita in cui per mangiare si deve fare qualcosa. Sono bastati pochi secondi prima che facesse comprendere cosa davvero pensa di chi lavora in un fast food: ha di nuovo tirato fuori il fatto che Harris durante i suoi anni di college ha lavorato da McDonald’s, prendendola in giro.
Per i democratici questi ultimi giorni non sono stati semplici. Mercoledì scorso è stato diffuso su X un video in cui un uomo - che si identifica come Matthew Metro - racconta di essere un ex studente del liceo del Minnesota dove insegnava Tim Walz. Nel video Metro dice:
«Sono un sopravvissuto ad un abuso sessuale. Mi è successo nel 1997, ero uno studente al liceo Mankato West, in Minnesota. Sono gay e lo so da quando ho 14 anni. Non ho mai fatto coming out però, non lo sapevano neppure i miei genitori o i miei compagni i classe. Durante il mio ultimo anno avevo diversi problemi, i miei genitori stavano divorziando in modo terribile e sapete come vanno queste cose, a volte si ha bisogno solo di qualcuno con cui parlare e nel mio caso avevo il mio insegnante Tim Walz. Un giorno gli ho chiesto se potessimo parlare, lui mi ha detto di sì e mi ha detto di aspettare il termine della lezione. Finita l’ora, quando tutti i miei compagni hanno lasciato l’aula, eravamo solo noi […] dopo aver parlato si è seduto al mio fianco, pensavo mi volesse consolare. Ha poi detto che sapeva qualche era davvero il mio problema, che avrebbe potuto aiutarmi. Mi ha messo una mano sul ginocchio e mi ha detto che era tutto ok, non dovevo avere paura. Si è avvicinato, toccandomi, io mi sono bloccato, non riuscivo a capire. Forse pensava che il mio silenzio fosse consenso, così ha iniziato a toccarmi, baciarmi il collo, non so neppure quanto sia durata, forse qualche secondo, forse cinque minuti. Non ho mai parlato a nessuno di questa cosa, ne ai miei genitori ne alla mia scuola, avevo paura mi rovinasse la vita. Nessuno mi avrebbe creduto, dopo tutto ero l’unico ragazzo nero della mia classe».
Il video è stato visto da 5 milioni di persone e poche ore dopo la sua diffusione, il vero Metro ha contattato il Washington Post e ha detto: «È evidente che non sono io: i denti sono diversi, i capelli sono diversi, gli occhi sono diversi, il naso è diverso. Non ho idea di dove abbiano preso questa roba».
Secondo una ricostruzione di Wired, un network russo noto per la creazione di video deepfake, ha costruito questa campagna contro Walz e la sua candidatura. All’origine di tutto ci sarebbe il network Storm-1516, che qualche anno fa aveva anche accusato Harris di aver investito una ragazza di 13 anni e di essere scappata via, lasciandola paralizzata. Secondo NBC, il network ha già fatto almeno una cinquantina di tentativi simili nel corso dell’inverno, con l’obiettivo - probabilmente legato ad intenti condivisi con il governo russo - di sabotare la candidatura democratica ed aiutare Trump nel suo ritorno alla Casa Bianca.
Quel che sta venendo a galla - ma non è neppure la prima volta - è una rete che lega i cosiddetti incel, i QAnon e il governo russo. La parte più estrema della destra conservatrice statunitense è il riferimento interno del Cremlino con cui - evidentemente - esiste un legame tale da produrre, promuovere e diffondere un tentato sabotaggio. Sono anni che si parla dei rischi della tecnologia, dell’intelligenza artificiale o dei deepfake, consolandosi con l’auspicio che - finché non perfezionati - questi strumenti non saranno in grado di produrre risultati così perfetti da non destare sospetti.
Tuttavia, non si può neppure pretendere che ciascuno di noi diventi un debunker o che passi le proprie giornate a giocare a memory con le notizie, nel tentativo di scoprire se c’è qualche intruso. Non a dieci giorni dalle elezioni più importanti degli ultimi 4 anni.
Cose che ho letto-visto-ascoltato questa settimana:
La ricerca della UCLA sulle persone transgender negli Stati Uniti
Questo articolo di Wired USA che spiega la situazione deepfake
Grazie per aver letto questo numero di Quarantasette. Noi ci sentiamo mercoledì prossimo.