Proviamo a capire Trump
Le primarie in South Carolina, i processi di Trump e i prossimi appuntamenti elettorali
Ciao!
sono Benedetta e questa è Quarantasette, la newsletter di Generazione sulla campagna elettorale americana.
Anche questa settimana c’è molto di cui parlare: le primarie in South Carolina hanno confermato i risultati di cui stiamo tenendo traccia. Per variare, oggi cerchiamo di sciogliere un nodo importante: quali e quante sono le faccende giudiziarie in cui è coinvolto Trump e quali conseguenze potrebbero portare nella campagna elettorale del candidato principale del Partito Repubblicano.
Ce lo siamo detti, il voto in South Carolina è tra i più importanti e significativi. È uno degli Stati in cui i democratici hanno lavorato maggiormente sulle questioni legate alla comunità nera, che lì tiene vivo il partito. Biden ha più volte detto, rivolgendosi a loro, che ha fatto e continuerà a fare di tutto per migliorare le loro vite. Si vede che è stato convincente, perché la vittoria sugli altri candidati è stata netta.
Il Presidente ha commentato il risultato dicendo: «Le persone del South Carolina si sono espresse e non ho dubbi che ci abbiano spianato la strada per vincere di nuovo le elezioni presidenziali - faremo di Trump un perdente, di nuovo». È la prima volta che questo Stato organizza le primarie democratiche così presto: nel 2020 il voto del South Carolina è stato decisivo per confermare la candidatura di Biden. A questo proposito, molto candidamente, Biden ha detto «La verità è che io non sarei qui senza gli elettori democratici del South Carolina, ed è un fatto. Quindi, voglio iniziare con un messaggio davvero semplice: dal profondo del mio cuore, grazie, grazie, grazie».
Rispetto alle ultime primarie, però, i voti raccolti sono diminuiti del 33%, mentre la percentuale degli elettori neri è aumentata del 13%. Sommariamente, sembrerebbe che quasi tutti gli elettori democratici vedano in Biden l’unico in grado di sfidare davvero Trump e, temendo la deriva autoritaria che lui promette, sentono di voler puntare sull’attuale Presidente per proteggere la democrazia. Si può leggere di più su questa questione del temuto autoritarismo trumpiano qui.
Questi ultimi giorni sono stati movimentati per Biden. La sua ingombrante età si sta facendo notare in ogni modo possibile e la campagna elettorale è stata costellata da episodi poco rassicuranti per i suoi elettori. Ieri, per esempio, durante un comizio elettorale a Las Vegas, ha raccontato che appena è stato eletto ha partecipato ad una riunione del G7, dove ha detto ai suoi colleghi «l’America è tornata». Poi ha proseguito, aumentando visibilmente il grado di confusione, «E Mitterand, dalla Germania, cioè dalla Francia, mi ha guardato e mi ha detto “dimmi… cosa? perché? per quanto tempo sei tornato?”». Insomma, Mitterand è morto nel 1996, non un buon inizio.
Donald Trump è il primo ex-Presidente degli Stati Uniti a dover affrontare delle accuse penali. È coinvolto in quattro casi, nei confronti dei quali si dichiara completamente innocente. Cerchiamo di capirli.
Il primo è il «Georgia election interference case», nell’ambito del quale la Procura della Conta di Fulton, in Georgia, ha incriminato Trump e altre venti persone di aver provato a cambiare i risultati elettorali ottenuti nello Stato, durante le elezioni del 2020. Quattro degli avvocati coinvolti si sono dichiarati colpevoli di aver provato a ribaltare la sua sconfitta, mentre i capi d’accusa di Trump sono tredici, tra cui quello di aver violato il «racketeering act», un atto vigente in Georgia che consente di riunire diverse accuse in una, per cui si possono ottenere fino a venti anni di carcere. Questo atto, spesso appellato come «RICO» nasce nel 1980 per occuparsi con più facilità della criminalità organizzata.
Ad aver dato iniziato alle indagini fu una telefonata intercettata nel gennaio 2021, in cui Trump faceva pressioni sul Segretario repubblicano in Georgia, domandandogli di «trovare» i voti che lo avrebbero fatto vincere.
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Il secondo caso è il «Classified documents case», di cui Trump è stato già dichiarato colpevole. L’accusa era che Trump aveva portato con se alcuni documenti governativi riservati - al termine del proprio mandato - che sarebbero dovuti rimanere alla Casa Bianca. Ha così violato il Presidential Records Act, che stabilisce i limiti entro i quali i presidenti possono gestire i documenti che producono durante la loro amministrazione: tra le varie norme previste ce n’è una che obbliga a consegnare tutte le carte prodotte al National Archives. Alcuni documenti portati via da Trump erano «classified», cioè coperti da vincolo di segretezza.
I documenti sono stati trovati nella villa di Trump in Florida, a Mar-a-Lago. Oggi a peggiorare la sua posizione ci sono nuovi elementi: è emersa la richiesta fatta da Trump al gestore della villa Carlos De Oliveira, di cancellare i filmati delle telecamere di sicurezza in cui sono ripresi i documenti. Il tentativo di cancellare le riprese è avvenuto ad indagine iniziata, per cui Trump è ora accusato di aver provato a liberarsi delle prove.
Oggi, per questo caso, i capi d’accusa indicati dalla grand jury federale sono 40. Il processo inizierà a maggio di quest’anno.
C’è poi il caso dei «Falsifying business records case» per cui il Procuratore distrettuale di Manhattan ha accusato Trump di aver falsificato dei documenti che riguardano la vicenda di Stormy Daniels. In breve, Daniels è stata pagata 130,000 dollari alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2016, per rimanere in silenzio riguardo la relazione sessuale che aveva intrattenuto con Trump anni prima. Trump ha sempre negato di aver avuto rapporti con Daniels, ma ha ammesso di aver rimborsato il proprio ex-avvocato Michael Cohen, per aver pagato Daniels al posto suo. L’accusa è che Trump avrebbe falsificato la fonte da cui ha preso questo denaro: non erano spese legali, come dichiarato, ma soldi della campagna elettorale. Il caso Trump-Daniels è ben riassunto qui.
L’ultimo e quarto caso è il «Federal Jan. 6 election case», legato ai fatti di Capitol Hill. Un gruppo di Procuratori federali sta indagando sull’attacco di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, per cui Trump è accusato di aver diffuso false notizie rispetto a frodi elettorali avvenute nei suoi confronti - che sapeva essere false - e di aver così fomentato i suoi elettori. Il suo gruppo di avvocati ha provato ad appellarsi all’immunità presidenziale per questo caso, ma proprio ieri è stata resa noto che non è applicabile. Trump dovrà quindi presentarsi in tribunale il 4 marzo di quest’anno e dovrà affrontare alcune tra le accuse più pesanti che possano essere mosse nei confronti di un presidente, tra cui quella di aver provato a sabotare il trasferimento di poteri che avviene con una nuova elezione presidenziale.
Lo stratega repubblicano Doug Heye ha detto, parlando della sua campagna elettorale, «Trump sarà su un aereo che viaggerà tra dibattiti e tribunali» poi ha aggiunto «vedremo giorni in cui farà entrambe le cose nell’arco della stessa giornata».
La domanda che si pongono tutti, ora, è cosa potrebbe accadere se Trump fosse dichiarato colpevole di tutte le accuse di cui abbiamo parlato. In breve, non accadrebbe nulla. Come ha raccontato a CNN Richard L. Hasen, professore di giurisprudenza alla University of California: «La Costituzione elenca poche prerogative necessarie per essere presidente, come per esempio avere almeno 35 anni. Non pone limiti a nessuno che sia coinvolto in processi o che stia scontando delle pene». Rispetto invece alla possibilità di fare il presidente dal carcere, Hasen ha detto «Se qualcuno possa svolgere il mandato di Presidente dal carcere è una domanda cui, fortunatamente, non ho risposta».
Tra le altre opzioni, conoscendo il personaggio, c’è anche quella che una volta eletto Presidente, Trump possa utilizzare nei confronti di se stesso il potere di «pardon», cioè di grazia. Anche qui Hasen è sembrato scoraggiato: «Non sappiamo se possa farlo o no. Penso che la Corte Suprema dovrebbe intervenire».
Bisogna seguire gli sviluppi dei processi per comprendere il peso che assumeranno, al momento sembra che però gli elettori repubblicani non si stiano facendo problemi ad indicare Trump come proprio candidato favorito, forse fingendo di non conoscere i casi in cui è coinvolto, oppure proprio in virtù di questi.
Questa settimana in South Carolina ci sono state unicamente le primarie democratiche, per quelle repubblicane dobbiamo aspettare il 24 febbraio. Ieri si è votando in Nevada per le primarie democratiche. I repubblicani, invece, saranno impegnati nei caucus domani.
Cose che ho letto-visto-ascoltato questa settimana:
Una valanga di documenti sui casi in cui è coinvolto Trump, ma soprattutto questo video sulla sua presidenza
Questo video di Architectural Digest sulla Casa Bianca
Questo video sulla vita di Donald Trump
Le analogie tra Donald Trump e Silvio Berlusconi si sprecano comunque, che fatica non farne neanche una. Noi ci sentiamo mercoledì prossimo.