The final sprint
Siamo definitivamente entrati nella fase finale di questa campagna elettorale
Buongiorno!
sono Benedetta e questa è Quarantasette, la newsletter di Generazione sulla campagna elettorale americana. Alle prossime elezioni presidenziali mancano 61 giorni.
Il primo lunedì di settembre - il 2, in questo caso - negli Stati Uniti si celebra il Labor Day, cioè la festa dei lavoratori. Questo giorno - negli anni in cui deve essere scelto un nuovo Presidente - rappresenta anche l’inizio della fase finale delle campagne elettorali. È il periodo in cui i cittadini e gli elettori iniziano a sentire più vicino il momento del voto - in questo caso, siamo anche a una settimana di distanza dal primo dibattito tra Donald Trump e Kamala Harris.
Come stanno gestendo questo momento critico i due candidati?
Iniziamo.
Quindi, superato il Labor Day mancano due mesi alle elezioni. Generalmente, a questo punto, entrambi i candidati hanno già diversi mesi di campagna elettorale alle spalle: stavolta, lo sappiamo, non è così. Kamala Harris è ufficialmente la candidata del Partito Democratico da poco più di un mese, ma questo è bastato a mostrare già le grandi differenze tra di lei e il suo avversario.
La prima differenza che possiamo registrare, a così poco tempo dal voto, è anche quella più importante: dell’agenda di Donald Trump e dei suoi piani per gli Stati Uniti sappiamo poco e niente. Tralasciando argomenti citati spesso ma grande confusione - come la costruzione del muro al confine con il Messico - il candidato repubblicano non ha mai impiegato i suoi spazi pubblici per spiegare cosa intende fare nel caso venisse eletto. Per molto tempo si è parlato del “Project 2025”, un elenco diabolico di riforme preoccupanti e pericolose per la democrazia statunitense, compilato da alcuni sostenitori repubblicani. Trump ha preso le distanze da quel progetto così discusso, senza chiarire però, cosa intende fare.
Harris, invece, è un po’ più diretta. Ha detto che vuole costruire un’America dal volto nuovo, che vuole andare avanti seguendo una nuova strada, dimenticandosi - forse - di aver avuto un ruolo da protagonista anche nella strada fatta finora. I suoi argomenti più cari riguardano l’economia della vita dei cittadini americani, che ha detto più volte di voler sostenere: vuole ridurre i costi delle abitazioni e delle spese necessarie per vivere in una casa. Ha preso in considerazione il cambiamento climatico e le sue conseguenze, mettendolo al centro di alcune considerazioni anche economiche. Ha parlato più volte di salute riproduttiva e dei diritti legati alla salute delle donne. Ha nominato la necessità di gestire i flussi migratori, trovando delle «soluzioni al problema».
Rispetto ai rapporti degli Stati Uniti con l’estero, Harris ha più volte chiarito di voler proseguire sulla strada tracciata da Biden. Si è congratulata con lui per aver rafforzato i rapporti che la nazione ha con l’alleanza NATO, promettendo di continuare a sostenere l’Ucraina. Trump, invece, attraverso la voce del Senatore JD Vance - nonché il suo candidato vicepresidente - ha detto di voler riprendere i rapporti con la Russia, in particolare con il Presidente Vladimir Putin, contro cui Trump non si è mai davvero schierato, anzi.
L’ambiguità e la confusione di Trump è particolarmente problematica ora, nei giorni precedenti al dibattito. Ad entrambi i candidati, infatti, è richiesto di iniziare a tracciare una strada precisa per la propria possibile presidenza, così da consentire all’elettorato - specie quello indeciso - di scegliere.
Tutto sommato, Harris e Walz ci stanno riuscendo. Nei prossimi giorni dovrebbero raccontare la loro proposta e il loro piano economico per gli Stati Uniti, che - secondo quanto già dichiarato - dovrebbe agevolare la vita delle piccole imprese e degli imprenditori. Secondo il Washington Post, questo nuovo piano economico ha l’obiettivo di rassicurare gli elettori democratici che vedono Harris come troppo liberale. Negli Stati Uniti sono circa 62 milioni i lavoratori proprietari o dipendenti di piccole imprese, che sono definite tali se hanno meno di 500 persone assunte. Durante l’amministrazione Biden sono cresciute enormemente le imprese con a capo persone nere o latine, rivitalizzando un dato che era piuttosto bloccato da almeno dieci anni.
Oltre a questo, possiamo aspettarci che nei prossimi giorni si torni a discutere di diritti riproduttivi e di aborto. I candidati democratici - che ora sono impegnati in un tour tra gli Stati - hanno messo sulla strada un bus dedicato a questo tema, che farà delle fermate mirate per raccontare come Harris e Walz intendono occuparsi di questo argomento. In totale il bus - che si chiama ‘Fighting for Reproductive Freedom’ - si fermerà circa 50 volte, negli Stati considerati fondamentali per il risultato dell’elezione. Qui si incontreranno esperti di salute riproduttiva, cittadini colpiti dalla cancellazione della legge Roe v. Wade - che definiva l’interruzione di gravidanza come diritto fondamentale e garantito oltre i confini degli Stati che compongono la nazione.
Rispetto a questo tema, nello specifico, la discussione è ben più che accesa e sarà sicuramente trattata durante il dibattito. Anche Trump è tornato sul tema negli ultimi giorni: in Florida è possibile ricorrere alla pratica abortiva entro sei settimane dall’inizio della gravidanza, tempistica molto criticata perché considerata eccessivamente restrittiva. In Italia, per esempio, si può abortire entro le prime 9 settimane.
Nonostante, sorprendentemente, avesse lui stesso criticato le leggi presenti in Florida considerandole troppo limitanti, è poi tornato sui suoi passi, durante un’incontro con l’organizzazione Moms for Liberty, in cui le mamme in questione intendono preservare la libertà eliminando dai libri di scuola qualsiasi riferimento alla comunità lgbtq+ o, all’identità di genere o al razzismo.
E se Trump sta faticando a mettere in fila qualche argomento in vista del voto, non sta facendo altrettanto per tenersi lontano da bagarre legali. In settimana alcuni leader democratici hanno diffuso una lettera in cui domandano all’ex presidente di chiarire se abbia mai ricevuto illegalmente dei soldi dal governo egiziano e se quei soldi siano finiti tra i 10 milioni di dollari utilizzati per finanziare la sua campagna elettorale del 2016.
A rivelare che il Dipartimento di Giustizia sta indagando su questa storia è stato il Washington Post e a siglare e diffondere la lettera sono stati i rappresentanti Jamie Raskin e Robert Garcia. I due, tuttavia, rappresentano una minoranza nella Camera dei rappresentanti, quindi non possono obbligare Trump a rispondere alle loro domande.
L’11 settembre, alle 3 di notte italiane, andrà in onda il dibattito tra i due candidati alla presidenza. Questo, più di quello tra Biden e Trump, è fondamentale. Non ci sono candidati di cui testare la sanità psico-fisica, ma ci sono diversi argomenti su cui fare chiarezza e di cui - come abbiamo visto - siamo piuttosto all’oscuro, rispetto alle posizioni che i due potrebbero prendere.
È un po’ che non diamo un occhio ai sondaggi. Adesso che Harris ha avuto l’occasione di fare qualche incontro pubblico e adesso che sono state ufficializzate le candidature dei due partiti, con le rispettive Convention, può avere senso riprendere in mano qualche dato.
Al momento, Donald Trump è in testa in 4 dei 7 Stati non schierati, quelli - cioè - in cui potrebbe vincere uno qualsiasi dei candidati, anche per poche preferenze.
Il Partito Democratico è nettamente cresciuto da quando Harris ha sostituito Biden, ma non a sufficienza da sbaragliare i repubblicani negli Stati “indecisi”.
Tuttavia, Harris resta salda in vantaggio nel Midwest - la zona degli Stati Uniti da cui proviene il candidato vice-presidente Tim Walz, la zona più rurale e centrale del paese, con cui i democratici stanno riuscendo a comunicare.
Cose che ho letto-visto-ascoltato questa settimana:
Per leggere il contenuto del Project 2025, potete cliccare qui
Qualche sondaggio affidabile si può trovare su 538 e sul Washington Post
Grazie per aver letto questo numero di Quarantasette. Noi ci sentiamo mercoledì prossimo.