Non sappiamo cosa farà Biden
È il caso di accettarlo, per evitare di continuare a immaginarci strade che nessuno vuole percorrere
Buongiorno!
sono Benedetta e questa è Quarantasette, la newsletter di Generazione sulla campagna elettorale americana. Alle prossime elezioni presidenziali mancano 117 giorni.
È possibile capire cosa farà Biden? non ci sono risposte secche, perché quelle può darle solamente lui. Siccome, però, in molti sembrano non fidarsi di quello che dice il Presidente della propria corsa elettorale, proviamo a prendere in considerazioni tutte le persone coinvolte in questa storia. E le loro, variegate, opinioni.
Iniziamo.
C’è un video famoso di Kamala Harris - diventato presto un meme - in cui la vice presidente fa un discorso che poi ripeterà in moltissime altre occasioni. Cita sua madre e dice: «mia madre diceva, quando ci rimproverava: “non so cosa avete che non va voi giovani, pensate di essere caduti da un albero di cocco? esistete nel contesto in cui vivete, influenzato da chi e cosa è venuto prima di voi”». Il video si può vedere qui, fa molto ridere.
Sebbene questa non sia una traduzione soddisfacente e nonostante questo breve e ripetuto sketch sia considerato da molti poco più di un meme, in realtà può dirci qualcosa su questa campagna elettorale.
Tutte le opinioni che girano intorno a Biden, la sua candidatura e l’ipotesi che possa fare un passo indietro facendosi sostituire, mi sembrano mancare di un dettaglio che la vice-presidente suggerisce in questo discorso. Joe Biden non è un uomo qualsiasi, la sua candidatura non è quella di un rappresentante di classe, così come il suo entourage, la sua amministrazione, non sono quattro-cinque persone, ma centinaia. La decisione che deve prendere - e che probabilmente ha già preso e comunicato - non riguarda solo lui, ma davvero riguarda il contesto che lo circonda, quelli che sono venuti prima di lui e le situazioni che deve gestire. Ci sono dei donatori che hanno contribuito alla riuscita della sua campagna elettorale, degli elettori convinti della sua candidatura, tutte quelle persone che si sono mobilitate durante le elezioni primarie per scegliere lui come preferenza.
Ci sono le cose di cui si fa simbolo: la lotta al rischio di un governo autoritario come quello minacciato da Trump, la tutela delle diversità identitarie che popolano gli Stati Uniti, la sicurezza che le persone migranti hanno avuto e potrebbero avere - con Biden alla presidenza - di non morire ammazzate ad un confine. E ancora, le sue posizioni sulla guerra, sull’aborto, sulla necessità di riformare il carcere e sull’utilizzo delle armi da fuoco. Sono tutte cose che non solo Biden racconta come slogan, ma di cui si è preso cura in qualche modo durante la sua amministrazione. Ed è possibile, adesso, trovare qualcuno che lo sostituisca dando un senso di continuità alle sue battaglie? I contenuti sono ancora fondamentali per gli elettori democratici o ormai preferiscono liberarsi di lui per avere un candidato che dimostri di star bene ed essere completamente presente a se stesso?
Cerchiamo di capire le varie posizioni prese fino a questo momento.
In ogni occasione pubblica che gli sta capitando Biden sta dicendo che rimarrà il candidato democratico per le elezioni presidenziali di novembre. Pochi giorni fa, in una lettera pubblica ai membri democratici del Congresso, ha detto: «voglio farvi sapere che nonostante tutte le speculazioni della stampa, sono fermamente impegnato in questa corsa, e voglio correrla fino alla fine, battendo Donald Trump. Negli ultimi 10 giorni ho avuto lunghe conversazioni con i leader del partito, con ufficiali eletti, con altri ranghi, membri, e - soprattutto - con gli elettori democratici. Ho ascoltato le loro preoccupazioni - le loro paure sono in buona fede e si preoccupano per tutto ciò che c’è in ballo in questa elezione. Non sto chiudendo gli occhi davanti a loro. Credetemi, so meglio di chiunque che responsabilità e che fardello porta con se una candidatura di partito. L’ho portata addosso nel 2020 quando il destino della nostra nazione era in gioco. So anche che le preoccupazioni sono mosse con rispetto per il mio impegno nel servizio pubblico durato tutta la vita, per la mia carriera da Presidente, e che sono mosse con affetto per me da molti che mi hanno conosciuto e supportato nel corso della mia vita pubblica. […] Posso rispondere a tutto questo dicendo chiaramente e senza equivoci: non correrei nuovamente se non credessi assolutamente di essere la persona migliore per battere Trump nel 2024».
Ancora prima della diffusione di questa lettera, Biden si è incontrato con alcuni esponenti del Partito Democratico per ribadire anche a loro che proseguirà con la sua candidatura. Si è confrontato con i governatori democratici degli Stati americani, ricevendo un sostegno abbastanza trasversale. A seguito di questo incontro, ha scritto ai propri sostenitori - cioè coloro che hanno contribuito economicamente alla buona riuscita della sua campagna elettorale - e ha detto: «nessuno mi sta cacciando. Non me ne vado. Rimarrò fino alla fine di questa corsa elettorale».
Con gli elettori, in realtà, ha preso le posizioni più chiare. Ha condiviso più volte sui propri profili social dei contenuti rassicuranti:
In questo video dice: «continuo a leggere tutte queste cose in giro che dicono che sono troppo vecchio. Non sono stato troppo vecchio per creare più di 15 milioni di nuovi posti di lavoro. Per assicurarmi che 21 milioni di americani avessero la loro assicurazione sanitaria. Per vincere contro le big pharma e abbassare il costo dell’insulina a 35$ per gli anziani. O per ridurre il debito degli studenti per circa 5 milioni di americani. Troppo anziano per mettere la prima donna nera alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. Firmare la più importante legge sull’uso sicuro delle armi negli ultimi 30 anni. Per passare la più grande legge sul clima nella storia del mondo. Quindi, lasciate che ve lo chieda, che ne pensate? Pensate che io sia troppo vecchio per ristabilire Roe v. Wade (la sentenza che assicura il diritto all’aborto, ndr)? Credete che io sia troppo anziano per vietare di nuovo le armi d’assalto? Pensate io sia troppo anziano per battere Donald Trump? Questa corsa riguarda la nostra libertà, riguarda la democrazia. Riguarda l’anima dell’America. Siamo pronti a lottare per questo? Io so di esserlo, e lo farò!»
E quindi questa è la comunicazione ufficiale che il Presidente sta portando avanti. Nulla di difficile da interpretare, la sua decisione è presa. Ciò che invece non è altrettanto chiaro è se sono ancora possibili pressioni affinché decida di invertire la decisione, rinunciando alla corsa. Qualcosa in questo senso si sta muovendo, ma è difficile giudicare se sarà sufficiente.
La scorsa settimana diversi finanziatori del Partito Democratico hanno dichiarato di sospendere le proprie donazioni finché Joe Biden non avrà ritirato la propria candidatura. La più preoccupante e importante finanziatrice del Partito che ha interrotto il proprio sostegno è Abigail Disney, nipote di Walt Disney e quindi erede di tutto il suo patrimonio. Oltre a lei, si sono tirati indietro anche Reed Hastings, ex amministratore delegato di Netflix e Ari Emanuel, un agente di Hollywood. Il New York Times ha anche raccontato che un gruppo di filantropi e miliardari, sostenitori del Partito Democratico, hanno creato un nuovo fondo che raccoglie le donazioni per il futuro sostituto di Joe Biden. Si chiama “Next Generation PAC (Political Action Committee)” e raccoglierà il denaro donato che verrà poi consegnato al nuovo candidato.
È chiaro che queste pressioni possono essere significative. Non solo perché - a lungo andare - potrebbero mancare i soldi per lavorare su una campagna elettorale che sia efficace, ma anche perché in questo momento incerto ogni passo indietro delle persone che hanno sempre sostenuto il Presidente può essere fatale. Biden, in realtà, può gestire - come già è capitato a lui e ad altri - il rapporto con i suoi donatori. Anzi, è un compito quasi scontato e quotidiano dei candidati alla presidenza. Oggi è sicuramente impegnato nel mantenere rapporti stretti con ciascuno di loro, provando a convincerli di essere ancora la migliore delle opzioni che il Partito può offrire.
Quel che invece è sicuramente più complicato è avere a che fare con i propri elettori. Ve ne sarete accorti girando sui social-network, quasi tutti i post su instagram che riguardano Biden o che pubblica lui stesso sono pieni di commenti che gli suggeriscono di abbandonare la corsa. Alcuni sono sorprendentemente educati, altri meno, ma la presenza di questa domanda da parte dell’elettorato è innegabile oltre che evidente e pubblica.
Dentro il Partito Democratico si stanno rincorrendo un po’ di dichiarazioni, quasi tutte a favore di Biden. Le voci che restano fuori dal coro sembrano essere progressivamente di meno, forse perché si sta provando a dettare una linea comune cui - ovviamente e giustamente - non tutti cedono.
Nella lettera ai parlamentari democratici, Biden ha anche detto: «la domanda su come proseguire ha trovato già risposta da una settimana. Ed è ora di finirla. La risposta è che batterò Donald Trump. Abbiamo 42 giorni fino alla convention democratica e 119 alle elezioni generali. Qualsiasi indebolimento o mancanza di chiarezza rispetto ai futuri obiettivi aiuteranno solamente Trump a colpirci». È chiaro, quindi, come sono considerati coloro che provano a suggerire la via della rinuncia, ossia come degli impedimenti.
Tornando al suggerimento iniziale di Kamala Harris, ci sono un po’ di cose che dobbiamo considerare, dandoci contesto. È inutile discutere di Biden come di un vecchio incosciente buttato su una sedia a governare uno dei luoghi più importanti del mondo. O meglio, siamo liberi di attribuirgli queste sembianze, ma dobbiamo anche accettare che è arrivato fino a lì con le sue gambe e qualcuno ha creduto abbastanza in lui da votarlo e da spendere i propri soldi per sostenerlo. Analizzare questa fase come se dietro l’angolo ci fosse una persona pronta e migliore di lui, ci può portare fuori strada. I candidati non vengono scelti dal Partito, ma devono proporsi spontaneamente e poi essere accettati. Oggi, a poco più di 100 giorni dal voto, è difficile immaginare che qualcuno stia scalpitando per buttarsi in questo caos, assumendosi una responsabilità di questo tipo.
Nell’analisi - quindi - della fragilità di Biden e di tutte le porte che a noi, da qui, ci sembrano aperte, ricordiamo che è possibile ogni tanto rimanere senza risposte. E che probabilmente per ora una risposta non c’è.
Cose che ho letto-visto-ascoltato questa settimana:
L’intervista a Biden raccontata da Luca Celada, sul Manifesto
“Joe Biden e il complesso del salvatore”, di Alessio Marchionna su Internazionale
Grazie per aver letto questo numero di Quarantasette. Noi ci sentiamo mercoledì prossimo.