Cosa c'entra Silvio Berlusconi col processo Trump
I nuovi endorsement a Joe Biden, il processo di Trump e le proteste studentesche
Buongiorno!
sono Benedetta e questa è Quarantasette, la newsletter di Generazione sulla campagna elettorale americana. Alle prossime elezioni presidenziali mancano 194 giorni.
Non ci sentiamo da due settimane, abbiamo molto su cui aggiornarci. Il Presidente Biden ha ricevuto diversi e importanti endorsement per la sua candidatura. Nel frattempo, è iniziato il primo processo penale contro Trump, durante il quale è già successo di tutto. Negli ultimi giorni diversi movimenti universitari si stanno mobilitando contro la guerra a Gaza, risultando in numerosi arresti.
Iniziamo.
Un endorsement è un’azione o una dichiarazione di sostegno nei confronti di un candidato politico o di un partito. È tradizione, nell’ambito delle elezioni presidenziali, che gli endorsement più significativi arrivino dai candidati più marginali della corsa, che piano piano si ritirano e dichiarano pubblicamente a quale dei candidati rimanenti offrono il proprio supporto. Il senso di dichiarare il voto è quello di spostare il proprio elettorato verso quel candidato, dando indicazione ai propri sostenitori - ora che si è fuori dalla corsa - verso chi sarebbe meglio convergere.
In questi giorni Joe Biden ha ricevuto e poi diffuso due importanti sostegni: il primo è quello di Bernie Sanders, politico del Partito democratico appartenente all’ala socialista. Si era candidato alle elezioni del 2020, abbandonando poi la corsa sempre in favore di Biden. Questa volta non ha partecipato, ma consapevole del suo ruolo e dei numerosi elettori per cui le sue posizioni - più di sinistra rispetto agli altri membri di partito - sono un riferimento, si è espresso a favore di Biden. Il video si può vedere qui, mentre molto probabilmente noi ricorderemo per sempre Bernie Sanders con questa foto.
Il secondo endorsement è arrivato dalla famiglia Kennedy al completo e si può vedere qui. Tra le varie cose impressionanti che hanno detto, Chris Kennedy - nipote di John Fitzgerald Kennedy - ha detto: «quando penso ai politici moderni del nostro paese e di questo secolo penso che Joe Biden sia l’RFK della sua generazione». RFK - Robert Francis Kennedy - era suo padre, nonché fratello di JFK. È stato un personaggio molto diverso dal fratello e anche da Biden - nonostante l’azzardato paragone. Per dirne una, si è sempre e con forza opposto alla guerra nel Vietnam, portando avanti diverse lotte per i diritti civili negli Stati Uniti. Forse non scriveremmo questa stessa cosa nella pagina wikipedia di Joe Biden.
Il 15 aprile è iniziato a New York il primo dei quattro processi penali di Donald Trump: di questo processo si occuperà la procura di Manhattan. Il caso riguarda un presunto pagamento di 130mila dollari che Trump avrebbe fatto nei confronti dell’attrice porno Stormy Daniels, per assicurarsi che non avrebbe detto nulla rispetto ad un rapporto sessuale che i due avevano avuto circa dieci anni prima, quando Trump era già sposato con Melania Trump.
L’accusa non è quella di aver “comprato” il silenzio di qualcuno, ma di non aver rendicontato quel pagamento correttamente, secondo le norme che riguardano le spese dei candidati politici. La faccenda era stata diffusa nel 2018 dal Wall Street Journal e, oggi, Trump potrebbe rischiare fino a 4 anni di carcere.
La prima fase di un processo di questo tipo è dedicata alla selezione dei 12 membri che comporranno la giuria popolare, un organo cui prendono parte normali cittadini che dovranno assistere a tutto il processo e poi esprimere un verdetto basandosi su quanto hanno sentito e visto. Ad emettere la sentenza saranno poi dei magistrati, che però terranno conto di quanto espresso dai “rappresentanti” del popolo americano. Questa prassi si chiama “jury duty” e - più o meno - tutti i cittadini americani saranno chiamati una volta nella vita a svolgere un compito di questo tipo. Le persone vengono scelte casualmente, poi viene chiesto loro se pensano di riuscire a giudicare in modo equo ed imparziale l’imputato in questione. Se rispondono in modo affermativo, verrà poi verificato con una serie di domande che siano effettivamente capaci di imparzialità. I loro nomi, per ragioni di sicurezza, non vengono resi pubblici e il processo non sarà trasmesso in televisione.
Per scegliere i 12 componenti di questa giuria popolare ci sono voluti tre giorni e Donald Trump ha dovuto assistere al processo di selezione. Molte delle persone casualmente selezionate che hanno dovuto testimoniare la propria imparzialità, hanno colto l’occasione per fare l’opposto, ossia protestare contro Trump davanti a lui. Alcuni hanno letto delle sue dichiarazioni passate commentandole in modo dispregiativo, altri gli hanno apertamente dato del razzista e del sessista, mentre lui doveva rimanere in silenzio ed osservare. Alcuni avvocati della difesa - come ha raccontato su Twitter il giornalista Tyler McBrien - hanno mostrato e letto ad alta voce alcuni meme molto critici nei confronti di Trump, diffusi dai possibili giudici popolari, per dimostrare a chi doveva valutare la loro imparzialità che non fossero adatti.
Ad un certo punto è arrivato il turno di un potenziale giurato nato e cresciuto in Italia, che per rinunciare al proprio ruolo dimostrando di non essere capace di imparzialità, ha detto che vede troppe analogie tra Donald Trump e Silvio Berlusconi e che questo potrebbe portarlo fuori strada nei suoi giudizi. Come dargli torto.
Alla fine i giudici sono stati scelti, si tratta di sette uomini e cinque donne, tutti cittadini statunitensi, maggiorenni, residenti in uno dei cinque distretti della città di New York e senza precedenti penali. Il New York Times ha tracciato dei loro profili - molto vaghi - dicendo che appartengono a diverse etnie: bianchi, ispanici, asiatici, afroamericani. Abitano in vari quartieri della città, tra cui altri Harlem, Chelsea, Upper East Side e Murray Hill. Lavorano nei settori della finanza, della scuola, della medicina, ci sono anche un ingegnere e due dipendenti di studi legali. Ma questo lento e - per certi versi - esilarante processo di scelta dei giudici, non è l’unica cosa inusuale accaduta in questo processo.
Durante il processo, venerdì 19, Maxwell Azzarello - un uomo di 37 anni - si è dato fuoco fuori dal tribunale di Manhattan. Secondo la ricostruzione della NYPD, la polizia di New York, l’uomo si era avvicinato al parco davanti al tribunale con una borsa e aveva tirato fuori alcuni volantini e del liquido infiammabile. Dopo aver lanciato i volantini si è cosparso del liquido e si è dato fuoco. La polizia ha detto che l’uomo soffriva di problemi di salute mentale e che nell’ultimo anno aveva condiviso sui suoi profili social diverse teorie cospirazioniste, contenute anche nei volantini che ha portato con se venerdì. Diverse persone hanno tentato di aiutarlo spegnendo il fuoco, lanciandogli cappotti o utilizzando estintori.
Cose che ho letto-visto-ascoltato questa settimana:
Police arrest 133 NYU antiwar protesters; Calif. students form barricade, The Washington Post
Biden’s problem with younger voters isn’t only about Gaza, The Washington Post
Grazie per aver letto questo numero di Quarantasette. Noi ci sentiamo mercoledì prossimo.